venerdì 26 agosto 2011

Fernando Pessoa

Fernando Pessoa, considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, colui che, secondo il critico letterario Harold Bloom, è, accanto a Pablo Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo, è conosciuto in larga parte in Italia per merito di un altro scrittore, Antonio Tabucchi, suo grande estimatore. Tabucchi ha tradotto e curato molte delle sue opere, e, anni fa, ha pubblicato con Feltrinelli un libriccino dal titolo “Il poeta è un fingitore”: una sorta di Baedeker privato per navigare nella scrittura di Pessoa, una piccola raccolta di pietre miliari dei suoi scritti, come dice lo stesso Tabucchi. Perle di scrittura, di poesia, di saggezza, trascritte via via su un taccuino e restituite a noi lettori da parte di un lettore, a sua volta, privilegiato.

“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente”.

Se pensiamo che la parola “fingere” giunge al suo significato attraverso l’etimo suo proprio di “costruire”, ecco che il lavoro del poeta è lavoro di costruzione che porta alla finzione, di un'altra realtà o stato d’animo. I margini, il fuori centro, una dimensione altra, sono questi i luoghi del poeta.

D’altronde,
“Essere poeta non è una mia ambizione.
È la mia maniera di stare solo”.
È proprio del poeta porsi domande:
“Cosa so? Cosa cerco? Cosa sento? Cosa chiederei
se dovessi chiedere?”.


Il poeta ha come orizzonte interiore il mondo. Con totale empatia.
”Sentire tutto in tutte le maniere,
vivere tutto da tutte le parti,
essere la stessa cosa in tutti i modi possibili
allo stesso tempo”.
Domande. Attesa. Apertura. Viaggio.
Perché “grandi misteri abitano/la soglia del mio essere”.

venerdì 5 agosto 2011

Emily Dickinson.

Perché leggiamo poesia? Ecco un brano di un intervento pubblicato da una rivista on line, siglato V.V.

“Mi sono chiesta perché, nel momento dello smarrimento, ci rivolgiamo – mi rivolgo – alla poesia. Potrebbe sembrare un linguaggio privo di esperienza, perduto, inessenziale. Al contrario: la poesia parla come parla la carne quando soffre, o il cuore quando batte accelerato. Le sue parole sono ossa, che dolgono o che si distendono, il suo respiro è la notte estiva o il vento decembrino. Poesia, scendi in me, come quiete o come domanda, ma che il tuo amore non mi lasci. Mai”.


Una piccola parola traboccante
Che qualcuno, udendola, aveva investito
Di Ardore o di Lacrime,
Benché Generazioni passino,
Tradizioni maturino e decadano,
Come eloquente appare -
Se l’esigua lunghezza della vita
Sottolineasse la sua dolcezza,
Gli uomini che ogni giorno vivono
Sarebbero così immersi nella gioia
Che s’incepperebbero gli ingranaggi
Di quella roteante ragione
La cui esoterica cinghia
Protegge il nostro equilibrio
Mio Creatore – lascia ch’io sia
Innamorata totalmente di te -
Che più mi avvicini
Più ne senta il bisogno -
Il volto di lei era in un letto di capelli,
Come fiori in un’aiuola -
La mano era più bianca del sego
Che nutre il sacro lume.
La lingua più tenera della melodia
Che vibra nelle foglie -
Chi ascolta può essere incredulo,
Chi ne è testimone, crede.
Legami – potrò ancora cantare -
Scacciami – il mio mandolino
Risuonerà sincero, dentro -
Uccidimi – e la mia Anima salirà
Inneggiando in Paradiso -
Ancora tua -

Le poesie sono di Emily Dickinson.