sabato 7 luglio 2012

DORCAS GUSTINE - Edgar Lee Masters


Quando si pensa che qualcuno ci abbia offeso, è bene cercare di avere con lui, o con lei, una franca spiegazione, sfogare apertamente il nostro risentimento e poi non pensarci più. Questa è la linea di condotta che Dorcas Gustine ha sempre seguito, anche se non tutti i compaesani mostravano di apprezzare la schiettezza del suo linguaggio. Covare il rancore, infatti, ci dice Gustine, e quindi il poeta, avvelena l’animo e lo immeschinisce; ed egli ha preferito sentirsi il cuore leggero, senza curarsi delle critiche degli ipocriti. Il poeta è Edgar Lee Masters, la poesia è “Dorcas Gustine”, dalla raccolta “Antologia di Spoon River”

DORCAS GUSTINE
Non ero amato da quelli del villaggio,
ma tutto perché non avevo peli sulla lingua,
e affrontavo chi m'insultava
con una protesta diretta, senza
nascondere o nutrire
segreti rancori o rammarichi.
È molto lodato il gesto di quel ragazzo
spartano,
che nascose il lupo sotto il mantello,
e si lasciò divorare, senza un lamento.
È più coraggioso, credo, strapparsi
il lupo di dosso
e combatterlo apertamente, magari
per strada,
tra polvere e urla di dolore.
La lingua sarà forse un organo ribellema
il silenzio avvelena l'anima.
Mi biasimi chi vuole-io sono contento.

Edgar Lee Masters


sabato 16 giugno 2012

Merlo - Umberto Saba


Ancora una poesia di Umberto Saba, poeta triestino, nato nel 1883, morto nel 1957. la sua cifra stilistica è contraddistinta da parole di uso quotidiano, al di là delle quali però, si percepiscono profonde interrogazioni e una costante, a volte dolorosa, ricerca interiore. Saba si interessò molto psicoanalisi: egli stesso paziente di Edoardo Weiss, è possibile che nel sapere psicoanalitico cercasse risposte o analisi alle sue inquietudini profonde. La poesia come autobiografia, personale ed intellettuale, oltre che come forma d’arte: un flusso di coscienza in linguaggio poetico. Leggiamo cosa scrive lo stesso poeta, presentando il proprio “Canzoniere”: «E il libro, nato dalla vita, dal "romanzo" della vita era esso stesso, approssimativamente, un piccolo romanzo. Bastava lasciare alle poesie il loro ordine cronologico; non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia della vita».

MERLO
Esisteva quel mondo al quale in sogno
ritorno ancora; che in sogno mi scuote?
Certo esisteva. E n’erano gran parte
mia madre e un merlo.
Lei vedo appena. Più risalta il nero
e il giallo di chi lieto salutava
col suo canto (era questo il mio pensiero)
me, che l’udivo dalla via. Mia madre
sedeva, stanca, in cucina. Tritava
a lui solo (era questo il suo pensiero)
e alla mia cena la carne. Nessuna
vista o rumore così lo eccitava.
Tra un fanciullo ingabbiato e un insettivoro,
che i vermetti carpiva alla sua mano,
in quella casa, in quel mondo lontano,
c’era un amore. C’era anche un equivoco.

Umberto Saba

sabato 9 giugno 2012

IL RIPOSO DOPO L’AMORE


Un amore quieto, tenero. Un amore che “diventa scienza teneramente”. Par quasi che gli amanti riposino in un bozzolo protetto; l’orizzonte, quello di una città sogguardata, ma lontana, illuminata da astri notturni che si uniscono a corona. Un amore quieto e tenero, che rende grandi senza essere cresciuti. Non c’è rivoluzione, né rivolgimento, né passione che strappa e fa gemere, in questo amore, ma un volo piano, calmo, radioso. Una gemma poetica di un autore più noto come critico letterario, Saverio Vòllaro.


Il riposo dopo l’amore è molto
vicino al volo
Per me e te, solo che i miei pensieri
Si fanno un po’ più stanchi
E tu un po’ più attenta.
E nessuno s’accorge che l’amore
Diventa scienza teneramente.
Un bacio sulla città ove gli astri
Serali si radunano a corona,
e il riposo, il riposo dopo l’amore,
quando si è più grandi
senza essere cresciuti. L’amore
è il vero contrario d’ogni rivoluzione

Saverio Vòllaro

domenica 13 maggio 2012

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO


Un momento di sospensione quasi assoluta, in cui la vita
sembra essersi arrestata in forme, immagini e apparenze, in
un colloquio muto tra persone e cose. Eugenio Montale compone
la poesia “Meriggiare pallido e assorto” nel 1916. Il
paesaggio della poesia forse più famosa della prima raccolta
montaliana (“Ossi di seppia”) è arido e scabro, la cognizione
esistenziale è arida, prosciugata, desolata (“ossi”,
“crepe”, “calvi picchi”, “sterpi”). Il sole abbaglia, il muro
dell’orto è rovente, la meraviglia è triste. Le increspature del
mare, colpite dal sole a picco, luccicano come scaglie. In
“Non chiederci la parola”, Montale parla della poesia come
di una “qualche storta sillaba e secca come un ramo”. Osserviamo
una prigione esistenziale, e l’osservazione desolata
della “vita e del suo travaglio”, in forte assonanza con un
altro grande poeta, Thomas Stearns Eliot.


Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
Eugenio Montale

sabato 5 maggio 2012

“Oggi ho appuntamento con le rondini”. Jorge Carrera Andrade

“Oggi ho appuntamento con le rondini”.

Uomo politico, ambasciatore, e grande poeta: parliamo dell‘ecuadoriano Jorge Carrera Andrade. Fu cantore del rapporto che c’è tra uomini e cose, uomini e natura, vissuto, a volte, in grande solitudine. Il dolore nasce dalla perduta comunicazione con le cose: ma il poeta la rivive nel pensare il suo paese, molto amato, che lo rende libero, in un mondo alleato.

RONDINI
Che mi cerchino domani.
Oggi ho appuntamento con le rondini.
Nelle piume bagnate dalla prima pioggia
giunge il messaggio fresco dei nidi celesti.
La luce va cercando un nascondiglio.
Le finestre voltano folgoranti pagine
che si spengono improvvise in vaghe profezie.
Fu un paese fecondo ieri la coscienza.
Oggi campo di rocce.
Mi rassegno al silenzio
ma comprendo il grido degli uccelli
il grido grigio d'angoscia
di fronte alla luce soffocata dalla prima pioggia.

Jorge Carrera Andrade

In questa dimensione, libera e capace di comunicare con l’universo, sta anche l’amore.

IL TUO CORPO È COMPOSTO DI FRUTTI.
Il tuo corpo è composto di frutti.
La notte esali un odore di pesche.
Scende il tuo bacio dalla gola al cuore
come va l'acqua d'una fontana.
E la mia pelle freme alle carezze
come al soffio di Dio l'erba dei campi.
Sei una coppa di frutti posata
accanto alle mie labbra tutti i giorni.



sabato 28 aprile 2012

Ingeborg Bachmann


Due grandi poeti, una storia d’amore. Infelice, e poco conosciuta
fino a che, pochi anni fa, non si è pubblicato il loro carteggio.
Sono Ingeborg Bachmann, austriaca, e Paul Celan, nativo
della Bucovina. Quest’ultimo, di genitori ebrei, li perse in un campo
di sterminio in Ucraina; mai riconciliato, mai domo, suicida
nelle acque della Senna nel 1970, ci ha lasciato una delle poesie
più drammatiche sulla persecuzione antiebraica e la Shoah: “Fuga
di morte”.
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle
e fischia ai suoi mastini
fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda ora suonate alla danza […].
Scriveva a Bachmann, nel 1957: “Quando ti ho incontrato, eri
per me l’una e l’altra cosa: il Senso e lo Spirito. Essi non si separano
mai, Ingeborg .. Sei e resti la giustificazione del mio Dire ..
Ma solo questo, il Parlare, non è assolutamente nulla, io volevo
anche essere muto con te”. E, ancora, una dedica: “Per Ingeborg,/
una piccola brocca d’azzurro”.


“Il tuo cappello si alza leggero, saluta,
si agita nel vento,
il tuo capo scoperto fa innamorare le nuvole,
il tuo cuore ha da fare altrove,
la tua bocca si arricchisce di nuovi idiomi,
l’erba tremolina riempie i campi,
l’estate accende e spegne il tarassaco,
e tu, accecata dai fiocchi, sollevi il viso,
ridi e piangi e ti distruggi,
cosa può succederti di più –
Spiegami, Amore!”
Ingeborg Bachmann

Questo componimento è di Ingeborg Bachmann. Anche lei avrà una fine terribile: morirà per un incendio avvenuto durante un suo soggiorno romano, nel 1973. È la capacità mantica della poesia: in “Acqua e fuoco”, lirica di Celan del 1951, si ritrovano gli elementi per i quali ambedue troveranno la morte.


sabato 21 aprile 2012

“…benché volasse verso il sole al tramonto …”

“…benché volasse verso il sole al tramonto …”

Un tragico incidente di caccia, che il poeta (Edgar Lee Masters, statunitense, autore dela celebre “Antologia di Spoon River”) immagina narrato dopo la morte dello stesso protagonista. La quaglia cade uccisa sotto il piombo del cacciatore; e, quasi che la morte chiedesse in cambio la morte, sull’uomo sembra calare la vendetta del destino. La mano che cerca l’uccello caduto a terra è punita violentemente da un serpente a sonagli. La vita dell’uomo si spezza all’improvviso, così com’era stata spezzata la vita della quaglia che volava nel cielo al tramonto.
Colpii l’ala dell’uccello,
appena echeggiò lo sparo, si levò
sempre più alto tra sprazzi di luce dorata,
finché si rovesciò a capofitto, le penne arruffate,
qualche piuma sospesa nell’aria,
e cadde come piombo sull’erba.
Feci qualche passo, scostando i cespugli,
finché vidi uno schizzo di sangue su un tronco
e la quaglia riversa tra le radici fradice.
Allungai la mano, non c’erano rovi,
ma qualcosa la punse e la trafisse e la gelò.
E poi, in un baleno, scorsi il serpente a sonaglile
grandi palpebre sugli occhi gialli,
la testa arcuata, affondata nelle spire,
un viluppo schifoso, color cenere,
o di foglie di quercia sbiadite sotto strati di foglie.
Restai impietrito mentre si ritraeva e srotolava
e cominciava a strisciare sotto il tronco,
poi mi afflosciai sull’erba.
Edgar Lee Masters

domenica 15 aprile 2012

Thomas Stearns Eliot

Thomas Stearns Eliot (1888-1965), poeta nato negli USA, ma fortemente segnato dall’esperienza europea (a Parigi e a Londra) è stato interprete e cantore lucido e potente del XX secolo, esprimendo il "consapevole disorientamento di un'epoca". La sua opera, fino alla conversione all’anglicanesimo, denota un mondo privo di significato, una “terra desolata” in cui non abitano certezze. Un mondo di “uomini vuoti”, “impagliati”, che mormorano “senza senso”. La conversione apre una nuova prospettiva, ma gli echi del secolo rimangono vivi – un secolo di due guerre terribili - , e la speranza è, comunque, attesa ansiosa. Scrive nei "Quattro quartetti": «Passi echeggiano nella memoria | lungo il corridoio che non prendemmo | verso la porta che non aprimmo mai [...]».


Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l'un l'altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell'erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina […]
Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all'altro regno della morte
Ci ricordano - se pure lo fanno - non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati. […]
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si va spegnendo […]
Gli occhi non sono qui
Qui non vi sono occhi
In questa valle di stelle morenti
In questa valle vuota
Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti […]
Non già con uno schianto ma con un lamento.
Thomas Stearns Eliot

sabato 7 aprile 2012

OSTERIA FLEGREA di Alfonso Gatto - Infrapensieri la notte di Mario Luzi

L'ermetismo è una corrente letteraria che si afferma in Italia tra l'inizio degli anni trenta e la fine degli anni quaranta del Novecento. Si annoverano tra gli esponenti Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Sergio Solmi. Oscurità, tensione verso una dimensione cognitiva irraggiungibile, ricerca della parola folgorante, atta a penetrare nel mistero e a cercare una verità assoluta, sono caratteristiche dell’ermetismo: prevalgono vocaboli colti, rari, astratti, privi di articolo per risultare indeterminati e assoluti. Questa poesia è rivolta a un pubblico di iniziati capaci di entrare in sintonia con l'autore e di interpretare il suo messaggio. II poeta ermetico si colloca al di fuori della realtà e della storia. La poesia ermetica concluderà il suo ciclo nel dopoguerra, quando nascerà un nuovo tipo di letteratura, fortemente calata nella realtà.

OSTERIA FLEGREA
Come assidua di nulla al nulla assorta
la luce della polvere! La porta
al verde oscilla, l'improvvisa vampa
del soffio è breve.
Fissa il gufo
l'invidia della vita,
l'Immemore che beve
nella pergola azzurra del suo tufo
ed al sereno della morte invita.

INFRAPENSIERI LA NOTTE
Il sonno, il nero fiume -
v'immerge la sua tempra
per il fuoco dell'aurora
che lo avvamperà, lo spera,
l'indomani -
Sono oscuri
il turchese ed il carminio
nei vasi e nelle ciotole,
li prende
la notte nel suo grembo,
li accomuna a tutta la materia […].
Mario Luz

sabato 31 marzo 2012

Vittoria Aganoor Pompilj LA VECCHIA ANIMA SOGNA

Vittoria Aganoor Pompilj, nata a Padova da un’antica famiglia di origine armena, la poetessa più conosciuta ed apprezzata dell’ottocento italiano, allieva di Maffei e Giacomo Zanella, seppe coniugare l’eredità romantica alle nuove esperienze liriche contemporanee. Restano di lei varie opere poetiche, tra cui – pubblicato nel 1900 – la raccolta “Leggenda eterna”, che verrà definita da Benedetto Croce “il più bel canzoniere d’amore scritto da una donna”. e una cospicua corrispondenza con uomini di cultura del suo tempo, da Enrico Nencioni, a Domenico Gnoli, Arturo Checchi, De Gubernatis e molti altri. Si sposò con Guido Pompilj, deputato del primo Collegio di Perugia, sottosegretario di Stato al Ministero delle finanze e al Ministero degli esteri, per due volteeletto delegato del Governo italiano al Congresso internazionale per la pace de L’Aia. La figura di Guido Pompilj, è, inoltre, indissolubilmente legata al salvataggio del Lago Trasimeno dalle ipotesi di prosciugamento, attraverso la costituzione del Consorzio di bonifica del Trasimeno da lui presieduto. Vittoria morì nel 1910. a 55 anni: il dolore provocato dalla sua scomparsa portò il marito a togliersi la vita; egli si sparò poche ore dopo.

LA VECCHIA ANIMA SOGNA
La vecchia anima sogna... Oh vieni! andremo
come allor, di silenzio e d'ombre in traccia,
stretti per man, nella tranquilla sera
d'aprile, senza proferir parola.
La mia pallida faccia
chiuderò intorno come una spagnola
nella mantiglia nera,
né tu vedrai le rughe del mio volto
già sfiorito, né i miei grigi capelli.
E torneran giovanilmente belli
questi occhi, nelle miti ombre dell'ora […]
Oh nella notte andar di primavera
tra le fragranze delle prime rose
e la solfa pacifica dei grilli.
Andar muti così stretti per mano,
nel sonno delle cose
e il vivo fiotto dell'amor lontano,
come onda che zampilli
fresca improvvisa fuor da un'arsa rupe,
erompere dal nostro arido cuore![…]
Viene il vento recandomi un sottile
odor di selva; annotta, e sui tranquilli
campi l'ombre si stendono. Una nota
limpida sale, si ripete, erompe
In improvvisi strilli,
in una frenesia di gioia, ignota
a noi, fatti di fango e di menzogna.
La notte ascolta e beve da quel canto
l'estasi. La mia vecchia anima sogna.

Vittoria Aganoor Pompilj

Daniele Grassi - La Commedia

Ha scritto di lui Sossio Giametta: “possiede una cultura, uno stile e un ideale in tutto e per tutto classici … una lingua moderna, viva e classica insieme. Per me una lingua dantesca”. Parliamo di Daniele Grassi, “poeta europeo di lingua italiana”, autore di poesie molto belle, carnali, erotiche: un erotismo inteso come la forza che muove il mondo.


 Nel padiglione aperto in letto enorme
dorme o sobbalza tutta la famiglia
che all’alba cotto il riso porta al tempio
domestico con fiori, frutti e incenso.
Quale una santa nella sua cappella
sotto una zanzariera a baldacchino
rapita qui staresti e persi i sensi


Si tratta di una lingua alta e piana, e la costruzione del verso riecheggia un’ariosità, abbondante e colma di spazio, davvero classica.

LA COMMEDIA
Nell’afa del desiderio
sottaciuta in questa e quella
la flabella la memoria
come fosse lor sorella
pur nella diversa storia.
Ed allora semiserio
non dò peso più di tanto
ai rifiuti od agli assensi ;
lancio l’amo, attendo un’onda
più invadente che i miei sensi
imperiosa illuda e a schianto
si disperda sulla sponda.
MI ABBISOGNA
L’esotico mi turba, mi spaventa
l’estraneo. Non di qui l’estremo viaggio
può cominciare. Consolato sguardo
dentro nota cornice mi abbisogna.

Daniele Grassi

sabato 17 marzo 2012

Elio Pagliarani -la Ragazza Carla

Non era un poeta laureato, per dirla con Montale. Elio Pagliarani, morto pochi giorni fa, era uno sperimentatore curioso delle nuove forme di espressione e della realtà della vita, del lavoro, dell’amore. Vicino alla Neoavanguardia, compreso nell’antologia dei Novissimi, collaboratore del Gruppo 63, Pagliarani cantava l’«epica quotidiana », il coraggio necessario a vivere tutti i giorni, quello che cerca la “ragazza Carla”, dal titolo di una delle sue opere più famose; come egli stesso scrisse nell’epigrafe al poemetto, «un amico psichiatra mi riferisce di una giovane donna impiegata tanto poco allenata alle domeniche cittadine che, spesso, il sabato, si prende un sonnifero, opportunamente dosato, che la faccia dormire fino al lunedì”. Ebbe rapporti con Fortini, Solmi, Barthes, Pasolini: il tutto, in un “lucido smagato rapporto col presente».



Di là dal ponte della ferrovia
una traversa di viale Ripamonti

c'è la casa di Carla, di sua madre, e di Angelo e Nerina.
Il ponte sta lì buono e sotto passano
treni carri vagoni frenatori e mandrie dei macelli
e sopra passa il tram, la filovia di fianco,
la gente che cammina
i camion della frutta di Romagna.
..............Chi c'è nato vicino a questi posti
..............non gli passa neppure per la mente
..............come è utile averci un'abitudine
.......................Le abitudini si fanno con la pelle
.......................così tutti ce l'hanno se hanno pelle
Ma c'è il momento che l'abitudine non tiene
chissà che cosa insiste nel circuito
.............................................o fa contatto
...........................................................o prende la tangente
allora la burrasca
................................periferica, di terra,
il ponte se lo copre e spazza e qualcheduno
può cascar sotto
e i film che Carla non li può soffrire
un film di Jean Gabin può dire il vero
è forse il fischio e nebbia o il disperato
stridere di ferrame o il tuo cuore sorpreso, spaventato
il cuore impreparato, per esempio, a due mani
che piombano sul petto
............................Solo pudore non è che la fa andare
............................fuggitiva nei boschi di cemento
............................o il contagio spinoso della mano […].
Elio Pagliarani

sabato 10 marzo 2012

PREGHIERA ALLA POESIA . Antonia Pozzi

Nata nel 1912, la sua vita ebbe termine nel 1938. Antonia Pozzi studiò estetica, si appassionò di fotografia, fu traduttrice eccellente dall’inglese e dal tedesco. Fu poeta, vera, grande, capace di cantare l’essenza della vita. È ammirevole la sua ricerca linguistica: parole nude, pene di realtà, di anima e di corpo. Quest’anno corre il centenario della sua nascita. Contemplazione istantanea Di là dai vetri tre rondini / di qua dai vetri tre mosche sfiondano/ bistrattando a gara / due triangoli di svenevole azzurro. Leggiamo ora un’altra composizione, dedicata alla poesia, “mio profondo rimorso

PREGHIERA ALLA POESIA
Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.
Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.
(Pasturo, 23 agosto 1934)

domenica 4 marzo 2012

LA FAVOLA ANTICA - Gianni Rodari

Al posto dell’antico autore di favole (che si rivolgeva agli animali attribuendo ad essi i vizi e le qualità degli uomini) è oggi il naturalista, intento a scoprire la vita degli animali nella realtà dei loro istinti, dei loro costumi. Il mondo degli animali sa comunicare meraviglie incredibili, al pari dei migliori testi di fantascienza: la ferocia mostruosa di alcuni insetti, l’organizzazione sociale di altri, il modo in cui l’intelligenza di alcuni animali risponde alle sollecitazioni umane, gli enigmi che si celano nell’infinitamente piccolo: tutto è fatto per stupire, per attirare l’attenzione del ricercatore e del lettore. Non è necessario cercare a tutti i costi la novità, la meraviglia negli abissi, nei luoghi più remoti, nel futuro della scienza e della tecnologia. “Ogni palmo di terra è un’Africa”, scriveva tre secoli fa Daniello Bartoli, per dire che lo straordinario, l’inverosimile, l’inatteso li troviamo alla porta di casa, negli aspetti e nelle cose che crediamo più note, più conosciute. In questa brevissima composizione di Gianni Rodari, la cicala e la formica, metafore che il poeta usa per rovesciare la morale del passato, che avverte angusta e limitata, danno il senso di una scelta di vita.

LA FAVOLA ANTICA

Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
Che il più bel canto non vende, regala.
Gianni Rodari

sabato 25 febbraio 2012

Bertran de Born

Oggi parliamo della poesia di Bertran de Born, guerriero e trovatore provenzale di cultura occitanica, vissuto a cavallo tra il 1100 e il 1200. Ne parla – non bene – anche Dante, nel XXVIII canto dell’Inferno, collocandolo tra i seminatori di discordia. Fu indubbiamente preso nelle vicende oscure e turbolente della sua epoca, legate alle lotte di successione dei Plantageneti. Ma fu un grande poeta. Raccontò la guerra, con toni forti, perché egli amava la guerra


Mazze, spade ed elmi variopinti
E scudi li vedremo infranti e distrutti
All'inizio dell'assalto
E molti guerrieri urtarsi l'un l'altro
Errando per il carnaio
I cavalli dei morti e dei feriti;
E quando nella mischia
Sarà entrato ogni uomo d'alto lignaggio
Egli non penserà che a infrangere teste e braccia
Perché un morto vale più d'un prigioniero”.


Poeta particolare, che cantò con tutto se stesso la guerra, dedicandole quei versi d’amore che altri dedicavano alle donne:


ma un sirventese farò fresco e nuovo.
Poiché educare credon guerreggiando
i baroni il signore di Bordeaux,
e per forza farlo cortese e franco,
farà male a non essere villano,
che se risponde ognuno ne abbia gioia,
e se li pela e rade non dia noia”.
Che anzi:
“Io amante non sono e amor non fingo,
che ne ragioni a donna o a lei m’appelli,
e non corteggi […]”
Chiudiamo con questi splendidi versi:
“Quando il fiore novello esce sul ramo
che ha rossi, verdi e bianchi i ramoscelli,
per la dolcezza del giro dell’anno
canto anch’io come fanno gli altri uccelli,
perché mi sento anch’io un uccello in molto,
che oso volere il meglio che c’è al mondo;
volere l’oso e avere cuore ardente,
ma non gliel’oso dire e lo nascondo”.

venerdì 17 febbraio 2012

NON MI INTERESSA

La poesia è così. Sorprende. Intriga. Colpisce. Spesso, una poesia è un dardo lanciato alla cieca. Come i dardi di Apollo, dio del canto, dell’espressione poetica, della salute … e capace di suscitare contaminazioni ed epidemie. Con il lancio dei suoi dardi. Potente immagine: la poesia contamina, infetta di sé, spariglia certezze, mette a nudo le illusioni. Questa poesia è anonima, e a malapena se ne conosce il milieu di origine. È stupenda. Basterebbe solo quel verso: “voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto”.

NON MI INTERESSA

Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri
e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare
di sembrare stupido per l'amore, per i sogni, per l'avventura
di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere
se hai toccato
il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo
i tradimenti della vita
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo;
se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi riempirti fino
alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti,
o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere
autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando
non è bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio
e continuare a gridare
all'argento di una luna piena: SI!
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore,
triste o spaccato in due,
e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me
e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso,
e se veramente ti piace la compagnia che hai ....nei momenti vuoti.
Scritto da un'indiana della tribù
degli Oriah - 1890

venerdì 10 febbraio 2012

Wislawa Szymborska

La capacità di trasformare la microfisica della nostra vita quotidiana in alta poesia: è il giudizio, assai centrato, di un critico nei confronti dell’opera di Wislawa Szymborska, poeta polacca, morta pochi giorni fa. La nostra vita quotidiana, persino un atto formale e burocratico come “Scrivere un curriculum”:


[…] E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione […]
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.[…]


Il suo sguardo è acuto e legge una realtà opaca; non si presta a far sedimentare parole inutili, cerca l’essenziale, che è il contrario della parola roboante e vanesia. Una grande attenzione alle parole, a quelle apparentemente più umili e piane, perché “Com’è che nella poesia brillano a festa come se fossero completamente nuove e appena inventate dal poeta?». Altro tema caro a Szymborska è l’importanza del pensiero libero, un grande orgoglio del pensiero. La sua poesia è spesso filosoficamente connotata, e la forza della riflessione si legge dietro le parole. Concludiamo con alcuni versi, significativi di questo poetare pensante:

[…] Non c’è dissolutezza peggiore del pensare.
Questa dissolutezza si moltiplica come gramigna
su un’aiuola per le margheritine
Nulla è sacro per quelli che pensano.
Chiamare audacemente le cose per nome,
analisi spinte, sintesi impudiche,
caccia selvaggia e sregolata al fatto nudo,
palpeggiamento lascivo di temi scabrosi,
fregola di opinioni – ecco quel che gli piace.

venerdì 3 febbraio 2012

NON SONO L’EREDE DI NESSUN ORDINE Lalla Aisha al-Mannubiyya

In un libro di racconti, “Il sogno e l’approdo”, leggiamo questa splendida poesia. Ne fu autrice Lalla Aisha al-Mannubiyya, santa patrona di Tunisi, morta nel 1257. Una donna coraggiosa, capace, per i tempi, di scelte libere e controcorrente, quale fu il rifiuto di un matrimonio imposto, si dedicò ala scienza, alla scrittura, alla meditazione mistica, inserendosi nella tradizione sufi dell’Islam. In questo componimento, la poeta mistica si esprime in tutta la gioia e la profondità del rapporto con Dio, senza mediazioni o eredità a cui far riferimento, in una splendida e solitaria verticalità.

NON SONO L’EREDE DI NESSUN ORDINE
“Sono l’eletta di Dio
Dio mi ha dato la bellezza,
mi ha sostenuta e mi ha soddisfatta
Dio mi ha eletta Perla dei santi
e Polo di santità
Non sono l’erede di nessun Ordine
Solo da Dio sono osservata
e solo da Lui
Ho ricevuto l’iniziazione
Dalla Santa Maria ho ereditato
le qualità
[…]
Sono la Barca dei viaggiatori
Sono la Stella che orna la luna
Sono la Santa venerata dagli uomini”
Lalla Aisha al-Mannubiyya

domenica 29 gennaio 2012

QUASI UNA MORALITÀ - Umberto Saba

Il ventesimo secolo ci ha lasciato un'eredità poetica straordinaria quanto ingestibile […] il punto fermo […] è stato che l'attività poetica si configurava come un progetto totale, una rifondazione del mondo […]”. Lo ha scritto Alessandro Carrera. Se questo è vero per molta produzione poetica, non lo è, o lo è in modo molto parziale, per quella di Umberto Saba. Lo sguardo del poeta triestino abbraccia il mondo, ma la cifra del verseggiare è sommessa, il tono piano, le parole quotidiane, ma forti e ricche per il sapiente lavoro di posizionamento nella frase e nel componimento. Nella poesia che presentiamo, i passeri, che vanno e vengono al davanzale della finestra della stanza del poeta, non lo temono più, non fuggono più. Beccano i semi, e il poeta, nei loro occhietti neri, pare scorgere gratitudine. Egli riflette a voce alta: non fa proclami, non presenta visioni del mondo, ma, facendo appello alla verità della propria esperienza, afferma la presenza della Grazia e il bisogno, la necessità, vitale, diremmo, dell’amicizia.


QUASI UNA MORALITÀ
Più non mi temono i passeri. Vanno
vengono alla finestra indifferenti
al mio tranquillo muovermi nella stanza.
Trovano il miglio e la scagliuola: dono
spanto da un prodigo affine, accresciuto
dalla mia mano. Ed io li guardo muto
(per tema non si pentano) e mi pare
(vero o illusione non importa) leggere
nei neri occhietti, se coi miei s'incontrano,
quasi una gratitudine.
Fanciullo
od altro sii tu che mi ascolti, in pena
viva o in letizia (e più se in pena) apprendi
da chi ha molto sofferto, molto errato,
che ancora esiste la Grazia, e che il mondo
- TUTTO IL MONDO - ha bisogno d'amicizia"
Umberto Saba

sabato 21 gennaio 2012

LASCIA SIA IL VENTO - ALL'IPOTETICO LETTORE - Margherita Guidacci

Margherita Guidacci, fiorentina, poeta originale, traduttrice di John Donne e Emily Dickinson, pur scrivendo in una temperie culturale segnata in profondità dall’ermetismo, elabora una lingua poetica volta all’introspezione ma dotata di grande creatività. Lo scorrere piano dei suoi versi mette in forte risalto la sua felice vena, contraddistinta da parole debitrici della natura e del paesaggio, a cui era molto legata: il nido, le foglie, il vento. “Mi sono abituata a considerare l’atto poetico come una cosa naturalissima o impossibile, senza vie di mezzo”.


ALL'IPOTETICO LETTORE
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa' che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l'affetto nell'addio
non è minore che nell'incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.


La parola poetica si confronta con il silenzio. Anche il silenzio dell’immagine, poiché; nell’incontro d’amore, basta solo un raggio di luce. Il vento, due specchi, la luce. È un’immagine folgorante, un quadro potente e colmo di dolcezza.



LASCIA SIA IL VENTO
Lascia sia il vento a completar le parole
che la tua voce non sa articolare.
Non ci occorrono più le parole.
Siamo entrambi il medesimo silenzio.
Come due specchi, svuotati d' ogni immagine,
che l'uno all'altro rendono
un semplice raggio. E ci basta.

sabato 14 gennaio 2012

Il primo amore. Juan Andrés García Román

Oggi vogliamo parlare di un giovane poeta spagnolo, Juan Andrés García Román, nato nel 1979. Si dedica allo studio ed alla traduzione di letteratura tedesca (Rilke, Hölderlin) ed ha pubblicato diverse raccolte poetiche, tra cui “El fosforo astillado”, tradotto come “Quaderno del suggeritore”. Un’opera caratterizzata da una lingua ricca ed evocativa, costruita attraverso un contrappunto di voci. Suddivisa in atti, la lingua poetica è alta, ma si nutre anche di citazioni di film, di autori latini, magari shakespeariane, o dei fumentti di Schulz. Alcune immagini sono bellissime: “Piovve solo più tardi. All’inizio le nuvole non portarono la pioggia, ma soltanto le forme curve” In un contrappunto di voci si fa strada, a fondo pagina, il “suggeritore”: che evoca, amplia l’orizzonte del discorso, devia o instrada. “Non capisco quello che dici né perché lo dici. E poi, promettesti di sognare una poesia”. È il libro di un amore. È un dialogo d’amore, con la sua meraviglia e anche le sue goffaggini.


“Il primo amore.
Come se tu fossi nevicata
su tutte le cose:
questa era la mia ossessione.
Come se fosse nevicato, ma di pellle tua:
automobili, alberi, marciapiedi,
uccelli coperti di pelle tua come neve.
Un mondo fatto di te, della tua anima,
della tua pelle umana […]
Il primo amore fu morderti
il lobo dell’orecchio
Coi miei denti di latte,
abbracciarti con le mie braccia di latte,
dirti all’orecchio «sempre»
con la mia morale cattolica di latte”.
Juan Andrés García Román

venerdì 6 gennaio 2012

PASSERÒ PER PIAZZA DI SPAGNA - Cesare Pavese

Una delle definizioni più profonde e più belle della poesia la dà Alcmane, autore greco della seconda metà del secolo VII a.C. Egli ci dice di aver scritto versi”imitando con parole/ quello che aveva inteso/ dal canto delle pernici”. Nella voce della natura il poeta poteva trovare consonanze, echi e richiami alla purezza delle sensazioni a cui voleva dare espressione, con parola non tradita, con espressione pulita. Facciamo un salto di molti secoli ed arriviamo ad un autore molto solo, molto tormentato, infelice fino al tragico epilogo della propria vita: Cesare Pavese. Ma anche Pavese, talvolta, apre l’animo alla bellezza che lo circonda e ci dà parole leggere e profonde, dal ritmo semplice, ma dolcemente e quietamente sensuale. Abbiamo scelto, per l’anno nuovo che si apre, uno di questi componimenti.


PASSERÒ PER PIAZZA DI SPAGNA
Sarà un cielo chiaro.
S'apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell'aria ferma.
I fiori spruzzati
di colori alle fontane
occhieggeranno come donne
divertite. Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
S'aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l'acqua nelle fontane -
sarà questa la voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l'odore della pietra e dell'aria
mattutina. S'aprirà una porta.
Il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.
Sarai tu - ferma e chiara.