Margherita Guidacci, fiorentina, poeta originale, traduttrice di John Donne e Emily Dickinson, pur scrivendo in una temperie culturale segnata in profondità dall’ermetismo, elabora una lingua poetica volta all’introspezione ma dotata di grande creatività. Lo scorrere piano dei suoi versi mette in forte risalto la sua felice vena, contraddistinta da parole debitrici della natura e del paesaggio, a cui era molto legata: il nido, le foglie, il vento. “Mi sono abituata a considerare l’atto poetico come una cosa naturalissima o impossibile, senza vie di mezzo”.
ALL'IPOTETICO LETTORE
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa' che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l'affetto nell'addio
non è minore che nell'incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.
La parola poetica si confronta con il silenzio. Anche il silenzio dell’immagine, poiché; nell’incontro d’amore, basta solo un raggio di luce. Il vento, due specchi, la luce. È un’immagine folgorante, un quadro potente e colmo di dolcezza.
LASCIA SIA IL VENTO
Lascia sia il vento a completar le parole
che la tua voce non sa articolare.
Non ci occorrono più le parole.
Siamo entrambi il medesimo silenzio.
Come due specchi, svuotati d' ogni immagine,
che l'uno all'altro rendono
un semplice raggio. E ci basta.
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