sabato 25 febbraio 2012

Bertran de Born

Oggi parliamo della poesia di Bertran de Born, guerriero e trovatore provenzale di cultura occitanica, vissuto a cavallo tra il 1100 e il 1200. Ne parla – non bene – anche Dante, nel XXVIII canto dell’Inferno, collocandolo tra i seminatori di discordia. Fu indubbiamente preso nelle vicende oscure e turbolente della sua epoca, legate alle lotte di successione dei Plantageneti. Ma fu un grande poeta. Raccontò la guerra, con toni forti, perché egli amava la guerra


Mazze, spade ed elmi variopinti
E scudi li vedremo infranti e distrutti
All'inizio dell'assalto
E molti guerrieri urtarsi l'un l'altro
Errando per il carnaio
I cavalli dei morti e dei feriti;
E quando nella mischia
Sarà entrato ogni uomo d'alto lignaggio
Egli non penserà che a infrangere teste e braccia
Perché un morto vale più d'un prigioniero”.


Poeta particolare, che cantò con tutto se stesso la guerra, dedicandole quei versi d’amore che altri dedicavano alle donne:


ma un sirventese farò fresco e nuovo.
Poiché educare credon guerreggiando
i baroni il signore di Bordeaux,
e per forza farlo cortese e franco,
farà male a non essere villano,
che se risponde ognuno ne abbia gioia,
e se li pela e rade non dia noia”.
Che anzi:
“Io amante non sono e amor non fingo,
che ne ragioni a donna o a lei m’appelli,
e non corteggi […]”
Chiudiamo con questi splendidi versi:
“Quando il fiore novello esce sul ramo
che ha rossi, verdi e bianchi i ramoscelli,
per la dolcezza del giro dell’anno
canto anch’io come fanno gli altri uccelli,
perché mi sento anch’io un uccello in molto,
che oso volere il meglio che c’è al mondo;
volere l’oso e avere cuore ardente,
ma non gliel’oso dire e lo nascondo”.

venerdì 17 febbraio 2012

NON MI INTERESSA

La poesia è così. Sorprende. Intriga. Colpisce. Spesso, una poesia è un dardo lanciato alla cieca. Come i dardi di Apollo, dio del canto, dell’espressione poetica, della salute … e capace di suscitare contaminazioni ed epidemie. Con il lancio dei suoi dardi. Potente immagine: la poesia contamina, infetta di sé, spariglia certezze, mette a nudo le illusioni. Questa poesia è anonima, e a malapena se ne conosce il milieu di origine. È stupenda. Basterebbe solo quel verso: “voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto”.

NON MI INTERESSA

Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri
e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare
di sembrare stupido per l'amore, per i sogni, per l'avventura
di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere
se hai toccato
il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo
i tradimenti della vita
o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo;
se puoi ballare pazzamente e lasciare l'estasi riempirti fino
alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti,
o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere
autentico a te stesso,
se puoi subire l'accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando
non è bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio
e continuare a gridare
all'argento di una luna piena: SI!
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai,
mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore,
triste o spaccato in due,
e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui,
voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me
e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove,
voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l'ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso,
e se veramente ti piace la compagnia che hai ....nei momenti vuoti.
Scritto da un'indiana della tribù
degli Oriah - 1890

venerdì 10 febbraio 2012

Wislawa Szymborska

La capacità di trasformare la microfisica della nostra vita quotidiana in alta poesia: è il giudizio, assai centrato, di un critico nei confronti dell’opera di Wislawa Szymborska, poeta polacca, morta pochi giorni fa. La nostra vita quotidiana, persino un atto formale e burocratico come “Scrivere un curriculum”:


[…] E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione […]
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.[…]


Il suo sguardo è acuto e legge una realtà opaca; non si presta a far sedimentare parole inutili, cerca l’essenziale, che è il contrario della parola roboante e vanesia. Una grande attenzione alle parole, a quelle apparentemente più umili e piane, perché “Com’è che nella poesia brillano a festa come se fossero completamente nuove e appena inventate dal poeta?». Altro tema caro a Szymborska è l’importanza del pensiero libero, un grande orgoglio del pensiero. La sua poesia è spesso filosoficamente connotata, e la forza della riflessione si legge dietro le parole. Concludiamo con alcuni versi, significativi di questo poetare pensante:

[…] Non c’è dissolutezza peggiore del pensare.
Questa dissolutezza si moltiplica come gramigna
su un’aiuola per le margheritine
Nulla è sacro per quelli che pensano.
Chiamare audacemente le cose per nome,
analisi spinte, sintesi impudiche,
caccia selvaggia e sregolata al fatto nudo,
palpeggiamento lascivo di temi scabrosi,
fregola di opinioni – ecco quel che gli piace.

venerdì 3 febbraio 2012

NON SONO L’EREDE DI NESSUN ORDINE Lalla Aisha al-Mannubiyya

In un libro di racconti, “Il sogno e l’approdo”, leggiamo questa splendida poesia. Ne fu autrice Lalla Aisha al-Mannubiyya, santa patrona di Tunisi, morta nel 1257. Una donna coraggiosa, capace, per i tempi, di scelte libere e controcorrente, quale fu il rifiuto di un matrimonio imposto, si dedicò ala scienza, alla scrittura, alla meditazione mistica, inserendosi nella tradizione sufi dell’Islam. In questo componimento, la poeta mistica si esprime in tutta la gioia e la profondità del rapporto con Dio, senza mediazioni o eredità a cui far riferimento, in una splendida e solitaria verticalità.

NON SONO L’EREDE DI NESSUN ORDINE
“Sono l’eletta di Dio
Dio mi ha dato la bellezza,
mi ha sostenuta e mi ha soddisfatta
Dio mi ha eletta Perla dei santi
e Polo di santità
Non sono l’erede di nessun Ordine
Solo da Dio sono osservata
e solo da Lui
Ho ricevuto l’iniziazione
Dalla Santa Maria ho ereditato
le qualità
[…]
Sono la Barca dei viaggiatori
Sono la Stella che orna la luna
Sono la Santa venerata dagli uomini”
Lalla Aisha al-Mannubiyya