Oggi parliamo della poesia di Bertran de Born, guerriero e trovatore provenzale di cultura occitanica, vissuto a cavallo tra il 1100 e il 1200. Ne parla – non bene – anche Dante, nel XXVIII canto dell’Inferno, collocandolo tra i seminatori di discordia. Fu indubbiamente preso nelle vicende oscure e turbolente della sua epoca, legate alle lotte di successione dei Plantageneti. Ma fu un grande poeta. Raccontò la guerra, con toni forti, perché egli amava la guerra
Mazze, spade ed elmi variopinti
E scudi li vedremo infranti e distrutti
All'inizio dell'assalto
E molti guerrieri urtarsi l'un l'altro
Errando per il carnaio
I cavalli dei morti e dei feriti;
E quando nella mischia
Sarà entrato ogni uomo d'alto lignaggio
Egli non penserà che a infrangere teste e braccia
Perché un morto vale più d'un prigioniero”.
Poeta particolare, che cantò con tutto se stesso la guerra, dedicandole quei versi d’amore che altri dedicavano alle donne:
ma un sirventese farò fresco e nuovo.
Poiché educare credon guerreggiando
i baroni il signore di Bordeaux,
e per forza farlo cortese e franco,
farà male a non essere villano,
che se risponde ognuno ne abbia gioia,
e se li pela e rade non dia noia”.
Che anzi:
“Io amante non sono e amor non fingo,
che ne ragioni a donna o a lei m’appelli,
e non corteggi […]”
Chiudiamo con questi splendidi versi:
“Quando il fiore novello esce sul ramo
che ha rossi, verdi e bianchi i ramoscelli,
per la dolcezza del giro dell’anno
canto anch’io come fanno gli altri uccelli,
perché mi sento anch’io un uccello in molto,
che oso volere il meglio che c’è al mondo;
volere l’oso e avere cuore ardente,
ma non gliel’oso dire e lo nascondo”.