venerdì 30 dicembre 2011

TI RICORDO COME ERI - Pablo Neruda

Poiché c’è bisogno di amore, chiudiamo l’anno 2011, che tanti affanni ha portato con sé, dedicandovi una poesia tra le più belle di Pablo Neruda. Grande poeta cileno, Neruda (il cui vero nome era Neftalì Ricardo Reyes) fu diplomatico, uomo politico, esiliato, premio Nobel nel 1971 per la letteratura. Morì nel 1973, a Santiago del Chile, subito dopo il colpo di Stato fascista del generale Augusto Pinochet.

TI RICORDO COME ERI
(Venti poesie d'amore...,VI)
Ti ricordo come eri nell'ultimo autunno.
Eri il berretto grigio e il cuore in calma.
Nei tuoi occhi lottavano le fiamme del crepuscolo.
E le foglie cadevano nell'acqua della tua anima.
Stretta alle mie braccia come un rampicante,
le foglie raccoglievano la tua voce lenta e in calma.
Fuoco di stupore in cui la mia sete ardeva.
Dolce giaciglio azzurro attorto alla mia anima.
Sento viaggiare i tuoi occhi ed è distante l'autunno:
berretto grigio, voce d'uccello e cuore di casa
verso cui emigravano i miei profondi aneliti
e cadevano i miei baci allegri come brage.
Cielo da un naviglio. Campo dalle colline:
il tuo ricordo è di luce, di fumo, di stagno in calma!
Oltre i tuoi occhi ardevano i crepuscoli.
Foglie secche d'autunno giravano nella tua anima.
Pablo Neruda

venerdì 23 dicembre 2011

TANTI DICONO DI NOTTE - Emily Dickinson

Emily Dickinson (nata e morta ad Amherst, 1830 – 1886) fu poeta grandissima, quasi non di questo mondo. Disse di suo padre: “E’ troppo impegnato con le difese giudiziarie per accorgersi di cosa facciamo. Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli, perché ha paura che scuotano la mente”. La vertigine che si prova leggendo i suoi versi ha poche corrispondenze. Solitaria, aveva una folla nel cuore; nubile, seppe l’amore come poche e pochi altri; vissuta sempre in disparte, esprimeva una contezza delle cose del mondo che ha dell’angelico. “La Verità deve abbagliare gradualmente/O tutti sarebbero ciechi “. Grande Emily, di cui pubblichiamo una poesia stupenda, come dono di Natale.


TANTI DICONO DI NOTTE
Tanti dicono di notte buonanotte;
io dico buonanotte quando è giorno.
Mi dice arrivederci chi va via.
Rispondo ancora buonanotte, io.
Perchè il distacco, quello si è la notte,
e la presenza, nient'altro che l'alba;
quel colore di porpora nel cielo
che si chiama mattino.
Emily Dickinson

venerdì 16 dicembre 2011

A MIO PADRE - Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro, uno dei più delicati poeti del Novecento, ricorda, nel componimento che presentiamo, due episodi della fanciullezza di cui fu protagonista suo padre, e dice che, proprio per quello che gli vide fare, proprio per l’anima di fanciullo che egli scorse nell’uomo già adulto, lo amerebbe anche se non fosse suo padre. Tra le nature più fortunate che possano esistere al mondo è infatti quella di chi riesce a serbare il cuore fanciullo anche nell’età matura; di chi riesce a mantenere intatta la capacità dgli entusiasmi, dei moti giovanili. Possono stare insieme bene la maturità del pensiero e la giovinezza del cuore: anzi, questo è il modo migliore per mantenere fede alla vita e per incontrarsi meglio con i giovani. Camillo Sbarbaro si è spento nell’ottobre del 1967.


A MIO PADRE
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
che la prima viola sull'opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei

Camillo Sbarbaro

venerdì 9 dicembre 2011

IL MIO NOME NON È RODRIGUEZ - Luis J. Rodriguez

Oggi parliamo di un autore per molti versi straordinario, Luis J. Rodriguez. Nato a El Paso, Texas, nel 1954, figlio di immigrati messicani, trascorre un’adolescenza burrascosa, ma, proprio in quel periodo, inizia a scrivere versi, di grande forza e vigore. La sua opera è stata più volte premiata. La poesia che vi proponiamo si intitola "My Name's Not Rodriguez" (Il mio nome non è Rodriguez), la traduzione è di Raffaella Marzano.

IL MIO NOME NON È RODRIGUEZ
Il mio nome non è Rodriguez.
È un sospiro di piedi che si arrampicano,
l'affanno della bramosia dell’ oro,
la religione del mercante di schiavi
aggrappata con mani storpie alla coda dell’invidia.
Il mio nome non è Rodriguez.
È il pianto silenzioso di una madre indiana,
la saliva di un guerriero sulla punta di una freccia, l’artiglio di un giaguaro,
le forme seducenti di una donna sulla roccia vulcanica.
Il mio vero nome è la cenere della memoria di alberi arsi.
È il bambino di tre anni che vaga nella pianura
e viene ucciso da un Cavalleggero degli US durante
il massacro di Sand Creek.
Sono un urlo di Geronimo nei canyon degli Antenati.
Sono lo scout comanche; lo sciamano Raramuri
con la bandana sporca che corre sotto la pioggia battente.
Mi chiamano Rodriguez e le mie lacrime lasciano fiumi di sale.
Sono Rodriguez e la mia pelle si secca sulle ossa.
Sono Rodriguez e una risata malata mi entra attraverso i pori.
Sono Rodriguez e la follia di mio padre
mi blocca ogni via d’uscita,
calcinando le pareti di ogni casa.
Il mio nome non è Rodriguez; è una fibra nel vento,
è ciò che fu sommerso dagli oceani,
il gracile e sublime dei picchi delle montagne,
ciò che cresce rosso nelle sabbie del deserto.
È la vita che striscia, i respiri acquosi fra i davanzali.
È il tamburo teso e la danza del peyote.
È l’infuso fermentato delle inquietudini.
Non chiamatemi Rodriguez a meno che non vogliate dire
contadino o giardiniere,
a meno che non vogliate dire assassino di verità e becchino di speranze.
A meno che non vogliate dire dimentica e poi muori.
Il mio nome è il ragazzino col cappuccio nero che impugna una 9mm,
in una qualsiasi delle nostre strade.
Sono il monaco del braccio della morte. Il ragazzino di otto anni che vende
gomma da masticare nei bar e negozi di taco.
Sono senza permessi, senza assicurazione, senza regole, e senza perdono.
Sono libero e perciò affamato.
Chiamatemi Rodriguez e sanguinate per la vergogna.
Chiamatemi Rodriguez e dimenticate il vostro nome.
Chiamatemi Rodriguez e vedete se sussurro al vostro orecchio,
con la bocca sporca di vino amaro.

sabato 3 dicembre 2011

LA SCALA DI CRISTALLO Langston Hughes

Un giovane, di fronte alle prime difficoltà, si è rivolto sgomento alla madre. Lei, afroamericana, come l’autore, rivela al figlio che anche la propria vita è stata tutt’altro che facile, ma non per questo ha rinunciato. La sua scala non aveva gradini di cristallo, eppure per tutto il tempo ha continuato a salire; ed ancora va avanti, senza fermarsi, anche quando non trova spiragli di luce. Lo stile è piano e assorto, ma la consapevolezza è forte, in questa poesia di Langston Hughes, una delle voci più importanti della letteratura americana.



UNA MADRE AL FIGLIO
Bene, figliolo, te lo dirò:
la vita per me non è stata una
scala di cristallo.
Ci furono chiodi
e schegge
ed assi sconnesse,
e tratti senza tappeti sul pavimento -
nudi.
Ma per tutto il tempo
seguitai a salire
e raggiunsi pianerottoli,
e voltai angoli
e qualche volta camminai nel buio
dove non era spiraglio di luce.
Così, ragazzo, non tornare indietro.
Non fermarti sui gradini
perché trovi ardua l’ascesa.
Non cadere ora
perché io vado avanti, amor mio,
continuo a salire
e la vita per me non è stata
una scala di cristallo.

Langston Hughes