venerdì 16 settembre 2011

LO SPECCHIO - Umberto Saba

Una poesia dolcissima, un quadro domestico lieve e melanconico, come è tutta la poesia di Umberto Saba, triestino. Il linguaggio è piano, semplicissimo: appena appena sollevato da terra, però quel tanto che basta a separare la poesia dalla prosa.

Guardo un piccolo specchio incorniciato
di nero,
già quasi antico, semplice e severo
a un tempo.
Una fanciulla
- nude l'esili braccia - gli è seduta
di contro.
Ed un ricordo
d'altri tempi mi viene, mentre in quello
seguo le sue movenze e come al capo
porta le braccia, e come ai suoi capelli
rende la forma dovuta. E il ricordo
narro a mia figlia, per diletto:
«Un giorno
fu che tornavo di scuola. Il maestro
ci aveva fatta ad alta voce e come
allora usava, una lettura. Immagina
un bambino che va solo in America,
solo a trovare sua madre. E la trova
sì, ma morente. Che se appena un attimo
ritardava, era morta. Io non ti dico
come a casa giungessi. E quando, vinto
dai repressi singhiozzi, apro la porta
e volo incontro a mia madre, lei vedo
al tuo specchio seduta, nello specchio
il primo suo capello bianco.
Forse
- oggi lo so - forse non era solo
amore il forsennato, il doloroso
affetto che per lei sentivo. Forse
altra cosa era in me che sì alla vista
mi feriva di quel presagio mesto.
E piansi, stretto a lei piansi sì forte,
ch'ella dovette al fin sgridarmi.
Ed ecco
tu ridi adesso, e anch'io ne rido, o quasi,
ma non quel giorno, o quelli poi».
«Non rido,
babbo di te - mi risponde -; ma tanto
s'era a quei tempi, o eri tu solo tanto
stupido?»
E getta
le braccia intorno al mio collo e mi bacia,
e dallo specchio e da me s'allontana.

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