Autunno, tempo di prime piogge, di clima rinfrescato, un po’ di melanconia, le foglie che cadono, il sole tramonta veloce e l’aria, la sera, è frizzante e umida. Un poeta di piccole e grandi cose e sentimenti, Giovanni Pascoli, così racconta, con il suo tono piano, lontano da fiamme e, il temporale, il tuono ed il lampo.
Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusìo con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.
IL LAMPO
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
IL TUONO
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla
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